Benessere senza cultura?

L’Istat ha presentato oggi la nona edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), che fornisce un quadro complessivo dei 12 domini (Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi) in cui è articolato il benessere, analizzati nella loro evoluzione nel corso del biennio 2020-21. La pandemia da COVID-19 ha profondamente cambiato molti aspetti della vita quotidiana degli individui, delle famiglie, dell’organizzazione della società e del mondo del lavoro. Il Rapporto è arricchito da un confronto col contesto europeo.

Come era lecito aspettarsi, i due aspetti che maggiormente hanno condizionato gli ultimi due anni, con forti ripercussioni sul benessere degli individui, sono quelli relativi all’emergenza sanitaria e alle conseguenze economiche, con particolare riferimento all’occupazione. La lettura dei dati, forse eccessivamente ottimistica, fornita durante la presentazione del report evidenzia alcuni segnali di ripresa, ma per una conferma di queste interpretazioni aspetterei di vedere gli effetti della crisi ucraina, con ciò che comporta sul fronte dell’energia, dei costi delle materie prime e dell’inflazione.

Concentrando la nostra attenzione sui comparti dell’istruzione e della cultura, possiamo ricavarne questi dati e alcune preoccupate considerazioni:

  • L’impatto del lockdown sulla scuola ha prodotto danni enormi, come una riduzione del numero di bambini che frequenta la scuola per la primissima infanzia; appare particolarmente critica la situazione per i bambini della scuola primaria, il 17,1% dei quali non ha mai fatto lezioni online con gli insegnanti nel periodo marzo-giugno 2020; peggiora nell’anno scolastico 2020-21 il dato riguardante i ragazzi e le ragazze della classe terza della scuola secondaria di primo grado che non hanno raggiunto un livello di competenza alfabetiche e numeriche almeno sufficiente; in generale, il 65,8% degli studenti che hanno seguito le lezioni online riferisce di aver avuto difficoltà, o per problemi legati alla qualità della connessione e per difficoltà nella concentrazione e motivazione.
  • Ancora alta, sebbene in calo, la quota di giovani tra 18 e 24 anni che sono usciti prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito soltanto il titolo di scuola secondaria di primo grado: nel 2021 sono il 12,7% (erano il 14,2% nel 2020).
  • La quota di giovani di 15-29 anni che non studia né lavora (NEET) cala leggermente nel 2021 (23,1%), ma non torna al livello pre-pandemia (22,1% nel 2019).
  • Nel 2021, mentre la lettura di almeno 4 libri l’anno è rimasta stabile rispetto al 2020 (22,9%), la lettura di quotidiani 3 o più volte a settimana è diminuita (dal 24,8% al 23,2%), portando l’indicatore complessivo sulla lettura ad una riduzione (36,6%, era 38,2% nel 2020).
  • Nel 2021, il 7,4% delle persone di 3 anni e più si sono recate in biblioteca almeno una volta nei 12 mesi precedenti l’intervista, confermando il calo iniziato nel 2020 a seguito delle limitazioni determinate dalla pandemia (passando dal 15,3% del 2019 al 12,2% del 2020); in due anni il numero dei frequentatori delle biblioteche si è praticamente dimezzato.
  • Nel 2020 i visitatori delle strutture museali sono calati del 72,3%.
  • L’occupazione nel comparto delle attività culturali e creative è stata colpita dalla crisi da Covid-19 già nel 2020, e non mostra segni di ripresa nel 2021: alla fine del secondo anno di crisi pandemica gli occupati del settore sono 55 mila in meno, con una perdita relativa del -6,7% tra il 2019 e il 2021, più che doppia rispetto alla contrazione del complesso degli occupati (-2,4%).
  • Con le restrizioni ai luoghi della cultura per contrastare la pandemia, la partecipazione culturale fuori casa nei 12 mesi precedenti l’intervista, tra il 2019 e il 2020, passa dal 35,1% al 29,8%, e tra il 2020 e il 2021 crolla all’8,3%.

Riteniamo che l’impatto di queste difficoltà incida sul benessere e sulla qualità della vita, al di là di un’analisi limitata alle conseguenze sul settore. Si tratta di “questioni generali”, che dovrebbero richiamare l’attenzione dei governanti e stimolare interventi non solo settoriali. Le politiche giovanili, in un Paese che invecchia, sono una priorità e richiedono risorse adeguate. «Fuori da ogni retorica — come ha dichiarato il presidente dell’Istat Blangiardo — si può dire che le politiche per il benessere dei giovani siano, oggi più che mai, politiche per il benessere del paese tutto intero». Blangiardo aggiunge che occorre «ricostruire le basi strutturali del benessere dei bambini e dei giovani, con un serio investimento nell’intero sistema scolastico e universitario, l’azione per sostenere e potenziare le reti di servizi territoriali per la cultura, lo sport e il tempo libero».

 

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