“Cuore” e l’invenzione degli italiani

Marcello Fois ha pubblicato da poco con Einaudi un bel volume. Molto indovinato anche il titolo: L’invenzione degli italiani. Dove ci porta “Cuore”. Nella quarta di copertina leggiamo: «Cuore, anche se spesso lo dimentichiamo, è un grande classico: un vademecum per comprendere il presente, per capire dove affondano le sue radici. Un breviario laico a cui affidarsi quando siamo tentati dall’egoismo, fondamentale in un’epoca in cui la cattiveria dilaga e genera disastri». Stiamo parlando di uno dei punti fermi del canone delle letture su cui si sono formate intere generazioni di ragazzi italiani (a me fu regalato in occasione della Prima comunione), malgrado l’opera de Edmondo De Amicis sia stata spesso criticata per eccesso di moralismo e di buonismo. 

Forse il contenuto e il “senso” di quel libro è stato liquidato troppo semplicisticamente, irridendo ai buoni sentimenti che cercava di infondere nei lettori. È innegabile che questo romanzo fosse animato da un esplicito intento pedagogico: additava al disprezzo il proto-bullo Franti e lo contrapponeva a Garrone, il gigante buono, sempre pronto a difendere i più deboli; credeva nel valore inclusivo e nella spinta progressiva rappresentata dall’istruzione, grazie a insegnanti come il maestro Perboni; con la figura di Coraci, bambino trasferitosi da Reggio Calabria a Torino, proponeva il tema della unificazione nazionale e dell’immigrazione dal Sud al Nord; affidava a Stardi, un po’ testone, ma capace di grandi progressi grazie all’enorme impegno nello studio, il messaggio della scuola come ascensore sociale. 

Siamo proprio sicuri che questi sentimenti e questi valori meritino derisione e possano essere rottamati senza porsi tante domande? Non è forse il caso – con altre parole, certo – di ricostruire e “reinventare” anche su basi come queste l’identità collettiva delle giovani generazioni di un paese sfilacciato come l’Italia di oggi?

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