La burocrazia è una cosa seria: non tiriamola in ballo a sproposito

Mi ha sempre dato molto fastidio l’uso improprio dei termini “burocrazia” o “burocratico”, cui spesso viene attribuito un significato dispregiativo, a indicare gli ostacoli che le leggi e l’azione della Pubblica Amministrazione opporrebbero a un sano pragmatismo. A volte si arriva a darne una visione quasi caricaturale. Uno dei più grandi storici delle istituzioni, Guido Melis, ci ha insegnato invece che, accanto a tanti vizi e disfunzioni, l’apparato burocratico è anche il simbolo e la garanzia del modo in cui la macchina pubblica lavora alla realizzazione di un fine collettivo secondo i principi giuridici del nostro ordinamento. Il fastidio in me nasce da una traslazione di senso che spesso ci impedisce di distinguere tra un organismo e i suoi possibili malfunzionamenti, tra il perseguimento di un obiettivo e gli eccessi con cui a volte rischiamo di farlo, fino a oscurare totalmente il significato positivo — o, quanto meno, neutro — che un soggetto o un’attività ha per sua natura. Vale per tante cose: la medicina, per esempio, è la scienza delle malattie o la scienza della salute, è qualcosa di buono o di cattivo in sé, oppure è un’attività “neutra” e con finalità positive, che però può essere esercitata bene o male?

Senza andare oltre in una disquisizione che non avrei la competenza per portare avanti, desidero riportare qui una discussione che nei giorni scorsi si è sviluppata in AIB-CUR, la lista di discussione online dei bibliotecari italiani, cui da circa trent’anni partecipano migliaia di professionisti. I due approcci che si sono confrontati mi paiono emblematici di modi opposti di intendere il rapporto fra il cittadino e un servizio pubblico.

Un bibliotecario genovese ha sollevato un dubbio, segnalando che la sua amministrazione comunale si stava ponendo la questione della necessità di protocollare in entrata (nel protocollo generale di Ente) le domande  di iscrizione (“istanze”, scrive il bibliotecario, a sottolineare ulteriormente il tipo di visione con la quale si affronta la questione) dei cittadini ai servizi della biblioteca (ancorché alle medesime sia attribuito dall’applicativo in uso in automatico un codice univoco identificativo che ne consente la tracciabilità) e chiedendo se in altre biblioteche era in uso questa pratica.

Maria Stella Rasetti, dirigente della biblioteca e dei servizi culturali del Comune di Pistoia, ha risposto in questi termini: «La burocrazia è uno strumento che deve essere usato con intelligenza, e sempre nella misura minima possibile, per operare e produrre servizi, non per incartarsi. Evitiamo di farci del male da soli. A proposito: non c’è bisogno di inviare PEC agli utenti per avvisarli che il libro prenotato è disponibile. Basta un SMS. Le ferite da fuoco amico sono quelle più pericolose». Credo non ci sia bisogno di aggiungere altro.

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