Politiche per il libro? Non pervenute

Sono stati resi noti i risultati conseguiti da Mondadori nel 2023, che vedono una significativa crescita dei ricavi e degli utili. È una gran bella notizia. Commentando i dati, la presidente del gruppo Marina Berlusconi ha dichiarato: «Compito di noi editori è continuare ad investire, a offrire qualità e ad alimentare quanto più possiamo il dibattito ed il confronto tra idee; compito delle istituzioni è creare strumenti ancora più efficaci per incentivare la lettura. Perché un Paese in cui si legge di più è anche un Paese più libero e migliore». Non si può non essere d’accordo con questo auspicio, ma al tempo stesso non si può tacere che la realtà fattuale sembra andare in direzione opposta da quella auspicata da chi è al vertice del principale grippo editoriale italiano.

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Raccontare il lavoro

Il giorno 11 marzo si è tornati a discutere di storie di lavoro in un dibattito tenutosi presso la Sapienza in occasione del lancio della nona edizione del concorso LOscrittoIO che la Fondazione Sapienza bandisce allo scopo di valorizzare di valorizzare le capacità editoriali degli studenti di tutte le università italiane. Il tema scelto per quest’anno è Storie di lavoro e riportiamo qui le indicazioni del bando: «L’obiettivo del Concorso 2024 è quello di stimolare nei partecipanti una riflessione sul ruolo che il lavoro esercita oggi per gli individui e nell’assetto sociale. Il dettato dell’art. 1 della Costituzione, che definisce la nostra come una Repubblica “fondata sul lavoro” rischia di essere percepito come una vuota affermazione retorica, in quanto si è persa la centralità del lavoro nella vita delle persone e il suo valore come strumento di realizzazione personale. Fino a qualche decennio fa il lavoro è stato è uno dei tratti identitari della vita sociale e delle relazioni tra gli individui. Anche la letteratura ha tante volte raccontato storie legate alla “cultura del lavoro”. Poi il valore e il senso del lavoro è passato in secondo piano, è quasi scomparso dal dibattito pubblico e dal sentimento collettivo. Le diverse generazioni guardano al lavoro in modo discorde. Spesso privato di dignità e di riconoscimento sociale, il lavoro è oggi sempre più frequentemente legato al concetto di precarietà e ai disagi che ciò comporta, specie tra i più giovani. Leggiamo quotidianamente sui giornali le storie di tante persone che lasciano collocazioni lavorative che fino a poco tempo fa sarebbero state ambite e che preferiscono riappropriarsi del proprio tempo e vivere in una dimensione ritenuta più umana, rinunciando al successo professionale e accontentandosi di guadagnare meno».

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La libertà di incidere

La Rai ha trasmesso un bel documentario su Giorgio Gaber (ora disponibile su RaiPlay), che offre tanti spunti per riflettere sulla produzione di un artista scomodo e anticonformista, mai banale, difficile da incasellare, e che restò forse vittima delle stesse contraddizioni che voleva stigmatizzare. Al di là dell’apprezzamento – indubitabile – per la sua statura intellettuale e le sue composizioni, in particolare per quelle firmate insieme a Sandro Luporini, va detto che la parabola creativa ed esistenziale di Gaber lo portò gradualmente a prendere le distanze da tutto e da tutti, anche dalla cultura di sinistra cui aveva sempre fatto riferimento, isolandosi nella disillusione e nella rassegnazione, rendendo forse sterile il suo messaggio.

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