Chi legge, chi non legge, e perché…

Sul sito della casa editrice Laterza si sta sviluppando un interessante dibattito a proposito della campagna promozionale #ioleggoperché promossa dall’Associazione Italiana Editori. La polemica nasce dalla “discutibile” – nel senso che merita di essere discussa – scelta di proporre solo libri di narrativa.Sono intervenuto in quella discussione, perché mi pare che essa abbia il merito di affrontare una questione sulla quale di solito si dibatte molto poco.

Premetto che la campagna va comunque salutata con piacere, perché le cose è sempre meglio farle che non farle.

Vero è che, quando si parla di piacere della lettura, in molti casi implicitamente il pensiero corre al libro di narrativa, ma – se pure ciò dovesse valere, cosa tutta da dimostrare, per chi è già lettore e per i lettori forti – non sono affatto sicuro che i libri di narrativa siano lo strumento migliore per indurre un non lettore “cronico” a leggere, cioè a compiere un’operazione che non è solito fare. 

Mi soffermo un attimo proprio su questo aspetto: l’abitudine. Leggere romanzi è qualcosa che può essere familiare o estranea, che comunque non definirei facile, e non credo che basti regalare un romanzo a chi non ha mai letto per spingerlo a leggere. La lettura non è una pratica ovvia e scontata e dubito che sia sufficiente imbattersi in un libro per far scattare la motivazione a leggere.

Viceversa, a meno che non si parta dal presupposto che i non lettori siano individui del tutto privi di qualsivoglia interesse (e in questo caso confesso che non saprei proprio da che parte cominciare per un’azione di promozione della lettura), credo che possa avere una certa efficacia proporre a una persona che ha passione per la politica, per lo sport, per l’ambiente, per il cinema, per la cucina macrobiotica, per i problemi dell’infanzia, e così via, di coltivare quel determinato interesse “anche” attraverso la lettura di libri in cui si parla di quegli argomenti. 

Non vorrei che si pensasse che la pulsione a leggere possa essere totalmente slegata dalla vita quotidiana delle persone, da ciò di cui esse si occupano, da ciò che li circonda. Come se la lettura dovesse essere necessariamente uno strumento d’evasione, una bolla in cui rifugiarsi, estraniandosi dal mondo in cui si vive. 

Non escludo, quindi, che un saggio breve o un libro legato a un tema di attualità e che rientri negli interessi di quella persona, possa più facilmente incuriosire e attrarre un non lettore: la difficoltà maggiore, forse, consiste nel centrare la mira ed è per questo motivo che diffido delle liste prestabilite, composte da 24 libri, o da 100 o da 1.000.

Credo che una componente essenziale dell’approccio alla lettura consista nella libertà di scelta

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