La cucina degli scrittori

Il giornale la Repubblica ha avviato una … gustosa rubrica intitolata “La fiera magnara” (espressione presa in prestito dal Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda), dedicata ai rapporti fra cibo e letteratura, a cura di Marcello Teodonio. Ogni puntata è dedicata a quelle narrazioni in cui il mangiare o il preparare pietanze occupano la scena in modo significativo. È proprio vero, come scrive Italo Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore, che la cucina è la parte della casa che può dire più cose di noi.

Tra gli autori e le opere considerate, oltre al capolavoro gaddiano e alla descrizione del mercato di Piazza Vittorio (ma di Gadda e di Pascoli si ricorda anche la predilezione per il risotto) presente nella prima puntata della webserie, troviamo Giovanni Boccaccio che parla dei maccheroni nel paese di Bengodi, dove si legano le viti con le salsicce. Troviamo poi Giuseppe Gioacchino Belli che in un sonetto parla della dispensa e della “santissima” cucina del Papa con “pile, marmitte, padelle, callare, cossciotti de vitella e de vaccina, polli, ova, latte, pessce, erbe, porcina, caccia, e ’ggni sorte de vivanne rare”. Nella puntata in cui Teodonio ricorda Manzoni e le vicende di Renzo e Lucia, si sofferma su un episodio curioso: quando il promesso sposo va all’osteria con gli amici Tonio e Gervaso per convincerli a fargli da testimoni di nozze, mangiano polpette, o più precisamente i mondeghili, le tipiche polpette milanesi fritte nel burro preparate con pane raffermo, grana, carne, salsiccia e mortadella di fegato. Ma a Manzoni è sfuggito che l’episodio avviene di venerdì, ed è del tutto inverosimile che nel XVII secolo questo potesse avvenire: evidentemente la stesura del romanzo non era stata sottoposta alle cure di un editor, come avverrebbe oggi (anche se nulla ci garantisce che nei prodotti dell’editoria contemporanea non siano presenti sviste di questo genere). A seguire viene Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e anche qui c’è una scena che tutti coloro che hanno letto quelle pagine memorabili non hanno di certo dimenticato. Mi riferisco al timballo che troneggia nel pranzo offerto dal Principe di Salina nella residenza estiva di Donnafugata: “L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”. Passando all’estremo opposto, e cioè alla fame, La Storia di Elsa Morante ci offre uno spaccato del dramma della guerra: gli stenti, la borsa nera, le lotte quotidiane per procurarsi un uovo o qualche etto di farina. E concludiamo questa carrellata sulla webserie di Teodonio con Sostiene Pereira di Tabucchi, il cui protagonista nella Lisbona degli anni Trenta si ciba quasi esclusivamente di frittate. 

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