La cultura del lavoro nella letteratura

Nella nostra tradizione letteraria novecentesca esistono tanti riferimenti al lavoro e a quella particolare relazione tra individui e società che passa proprio attraverso le attività lavorative. Negli anni Sessanta, in un’Italia che cresceva attraverso la modernizzazione legata allo sviluppo industriale, si affermò un filone che fu etichettato come “letteratura industriale” e che vide in Ottiero Ottieri, Paolo Volponi e Luciano Bianciardi gli autori di punta. Nei decenni successivi la produzione letteraria registrò l’impatto sociale, economico e psicologico delle trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro: per citare qualche esempio, nel 1979 Primo Levi vince il Premio Strega con La chiave a stella, che narra le vicende di un operaio montatore che gira il mondo per installare impianti molto complessi; sul  versante opposto troviamo La dismissione, il libro col quale Ermanno Rea nel 2002 racconta lo smantellamento dell’acciaieria Italsider di Bagnoli. Poi il lavoro è quasi del tutto scomparso dalla letteratura: nel 2010 la realtà operaia di Piombino fa da sfondo alla storia di due adolescenti protagoniste di Acciaio, il romanzo di Silvia Avallone. 

Ma la “cultura del lavoro” non è scomparsa solo dalla narrazione letteraria, ha perso la sua centralità nella vita sociale e nel dibattito pubblico. Perché è cambiato il lavoro. Paradossalmente ritorna ora ad affacciarsi sul panorama della creatività letteraria con la sua assenza, o sotto il segno della precarietà e del disagio che produce.

Edizioni Lavoro, la casa editrice che fa capo alla CISL e che da tempo opera nel campo della saggistica e della manualistica, avvia ora una collana di narrativa denominata “Opificium”. Il primo titolo è Smistamenti, una raccolta di racconti presentata ieri presso la Biblioteca Marconi di Roma: gli autori, quasi tutti esordienti e spesso personalmente calati nella nuova realtà del lavoro nell’era che stiamo attraversando, parlano di lavoro desiderato, conquistato, perduto o ritrovato, di lavoro flessibile e precario, di un lavoro che in molti casi non è veicolo di inclusione e acquisizione di cittadinanza ma di confinamento ai margini di dinamiche sociali ed economiche che non riconoscono qualità e dignità alle attività lavorative, e non produce benessere psicofisico per chi le pratica. È una iniziativa editoriale coraggiosa e siamo curiosi di conoscere quali saranno i nuovi titoli che verranno proposti. Speriamo che ancora una volta la letteratura riesca a intercettare la contemporaneità e aiuti a riflettere sul senso della vita.

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