Le stanze delle scrittrici

Da qualche tempo c’è una crescente attenzione per lo spazio occupato dalle donne nella cultura e nell’arte, come in tanti altri ambiti della vita pubblica. E non è un caso se Robinson, l’inserto culturale in edicola questa settimana con Repubblica, dedica la copertina alle artiste del passato, del presente e del futuro. Per riscrivere finalmente il canone è fondamentale considerarle per il modo in cui si sono espresse attraverso le loro opere e non per la loro biografia, come ci invita a fare Melania Mazzucco: «non è questione d’estetica, ma di politica». Lo stesso vale per le scritture femminili, anzi per lo sguardo femminile sul mondo comunicato attraverso la creatività letteraria: per inciso, ricordo che otto dei dodici libri che partecipano quest’anno al Premio Strega sono stati scritti da donne. Queste riflessioni mi fanno tornare alla mente un bel volume fotografico realizzato da Alessio Romano e Ale Di Blasio, pubblicato nel 2018 dall’editore Avagliano, che ritrae e intervista cinquantuno scrittrici italiane — alcune note e già affermate, altre all’esordio o che da poco si sono affacciate sul panorama letterario — negli ambienti in cui abitualmente nascono le loro pagine: lo studiolo, ma anche il salotto o il soggiorno di casa, o panchine nei parchi pubblici, treni, o al tavolino di un bar. In altri casi, il contesto è dato da una “stanza mentale” più che da un luogo fisico. Il progetto prende spunto idealmente da Una stanza tutta per sé, il saggio pubblicato da Virginia Woolf nel 1929.

Sfogliando Una stanza tutta per loro. Cinquantuno donne della letteratura italiana impariamo tante cose. Per esempio, scopriamo che gli ultimi libri di Dacia Maraini sono nati a Pescasseroli, tra le montagne abruzzesi, luogo che l’autrice alterna alla casa romana da cui si vedono tetti e un pezzo di cielo; anche Sandra Petrignani (che a sua volta ha scritto tanto sulle case delle scrittrici, dedicando nel 2011 anche un volume alle abitazioni di Grazia Deledda, Marguerite Yourcenar, Colette, Alexandra David-Néel, Karen Blixen, Virginia Woolf) si sposta fra Trastevere e la campagna umbra; una finestra da cui guardare le vite degli altri è di fronte al tavolo di scrittura di Grazia Verasani; anche lo studio di Barbara Alberti ha una finestra che guarda sulla strada, ma prima di accingersi a scrivere deve liberarsi dei familiari e allontanarsi da ogni preoccupazione; la finestra di Patrizia Rinaldi affaccia invece verso il mare dei Campi Flegrei; Loredana Lipperini ha cercato di ritagliarsi un angolo nelle case in cui ha abitato, finché ha individuato nella casa del paese marchigiano da cui proviene la sua famiglia il luogo dove celebrare il rito di iniziare e concludere i suoi libri; Giusi Marchetta va a scrivere in una biblioteca torinese; Teresa Ciabatti scrive seduta per terra e appoggiandosi sul tavolino del salotto; il pavimento e il tappeto, insieme al divano, sono tra i luoghi di scrittura preferiti da Gaia Manzini; Antonella Lattanzi scrive e legge continuamente e ovunque, sempre avvolta dai libri; Wanda Marasco usa una vecchia Olivetti Lettera 35 e si circonda di classici, gli “spiriti guida” da cui farsi accompagnare; Francesca Bonafini e Carmela Scotti scrivono a letto; lo stesso fa Donatella Di Pietrantonio, ma alle cinque del mattino e per un paio d’ore; Federica De Paolis, Francesca d’Aloja e Caterina Bonvicini hanno trovato in cucina il loro spazio di scrittura; Nadia Terranova, che si è fatta ritrarre su un tram, scrive spesso in treno, pullman o aereo; Lidia Ravera può scrivere dappertutto, ma ha bisogno della musica per isolarsi e lavorare meglio; anche Simona Sparaco ha bisogno di costruire attorno a sé una bolla in cui estraniarsi, e lo fa in luoghi affollati come bar e ristoranti; il bar o il divano di casa sono la location preferita di Annarita Briganti, che dopo una quindicina di traslochi ha rinunciato a individuare una stanza in cui scrivere; Daniela D’Angelo scrive per lo più d’estate, immersa in spazi aperti; Carmen Pellegrino e Rosella Postorino si vestono di tutto punto per fare ordine attorno a sé. Ci fermiamo qui, ma sono tante altre le cose che possiamo apprendere da questo libro e che ci possono anche essere di aiuto per ricostruire l’orizzonte creativo in cui si inquadrano le opere delle scrittrici che conosceremo meglio dopo aver scorso le pagine di questo volume.

Un’ultima considerazione. Gran parte delle autrici coinvolte nel progetto, anzi la quasi totalità, non crede che esista una “specifica” letteratura femminile, anche se esiste «un modo di vedere la vita e di raccontarla che è prettamente femminile», come dichiara Francesca d’Aloja.

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