Che cos’è una biblioteca?

Qualche giorno fa ci siamo chiesti se esistono ancora le biblio-teche, così come siamo abituati a conoscerle, vale a dire “luoghi dei libri”, il cui principale connotato sono proprio i libri posseduti: la nostra riflessione prendeva spunto dall’appannamento della loro fisionomia bibliografia. E ci chiedevamo se oggi esse risultino caratterizzate dalle materie prime su cui si costruisce l’offerta (le collezioni) oppure dal modo in cui questa offerta viene allestita ed erogata (i servizi). Inizia oggi presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma il 60. congresso nazionale dell’Associazione italiana biblioteche, significativamente intitolato “Che cos’è una biblioteca?”. Domanda basica e non banale, perché è proprio il caso di chiedersi quale sia oggi il ruolo e il posizionamento della biblioteca rispetto ai processi di costruzione e circolazione delle conoscenze. 

Nel documento da cui parte la discussione si legge che l’obiettivo è quello di «promuovere un confronto pubblico, internazionale e nazionale, sull’identità delle biblioteche e sulle politiche pubbliche necessarie per il loro sviluppo».

Forse la sfida più importante, e forse più difficile, è la sfida delle competenze, da intendersi in vario modo. Competenza nel senso del rigore con cui la biblioteche si propone di offrire servizi di qualità, fondati sul rigore nella selezione delle fonti e delle informazioni, nel trattamento dei documenti, nella mediazione bibliografica. Perché in tutti i servizi, nei servizi in genere, il principale fattore di qualità è costituito dalle competenze professionali degli operatori.

Siamo un un’epoca in cui sembra essersi perso completamente il concetto di competenza. Su questo tema è stato da poco pubblicato un libro scioccante [Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, Roma, LUISS University Press, 2018], che denuncia i guasti provocati nella società statunitense da un uso sbagliato della rete: Nichols – dopo aver ricordato la diffidenza, se non addirittura l’avversione, che gli americani, con il loro pragmatismo, hanno sempre avuto nei confronti di intellettuali e “cervelloni” – analizza il diffuso sentimento di rabbioso rifiuto verso le opinioni degli “esperti” e di disprezzo verso il sapere specialistico: a partire da poche e banali notizie recuperate sul web, gli americani si ritengono esperti di qualsiasi cosa e si convincono di saperne quanto basta per pretendere che i medici prescrivano loro un farmaco piuttosto che un altro, oppure per formarsi radicate opinioni sulla politica estera, sull’inquinamento ambientale o sul riscaldamento globale, su ciò che la scuola dovrebbe insegnare ai loro figli, sulla necessità di mangiare cibi privi di glutine senza sapere cosa sia il glutine. «Temo che stiamo assistendo alla fine dell’idea stessa di competenza, un crollo – alimentato da Google, basato su Wikipedia e impregnato di blog – di qualsiasi divisione tra professionisti e profani, studenti e insegnanti, conoscitori informati e fantasiosi speculatori».

Auguriamoci che da questo congresso di bibliotecari venga qualche ipotesi di lavoro per risalire la china e rimettere al centro la qualità dell’informazione e della trasmissione delle conoscenze.

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